Il gelato. Il dolce freddo che ha conquistato tutti i palati

I progenitori del gelato: dalla neve al sorbetto

La duplice sensazione di dolce e freddo che si prova quando il gelato scivola sulla lingua è una delle migliori esperienze che coinvolgano il senso del gusto. Ma non è solo questione di gusto: a essere solleticati dal gelato sono anche la vista e l’olfatto, in una stimolazione plurisensoriale che non conosce distinzioni di età, sesso, provenienza geografica o sociale: nessun occhio e naso è in grado di resistere al richiamo dei suoi mille colori e profumi, nessun palato resta indifferente alla sua vellutata squisitezza.

La storia del gelato soffre della stessa “inconsistenza” dell’alimento di cui vorrebbe narrarci le vicende nel tempo: quanto quella è incerta, e mescolata a notizie che fondono (e confondono) leggende e aneddoti più o meno verosimili, tanto questo è di durata labile: va mangiato subito, altrimenti si scioglie e scompare. Per ripercorrere alcune delle tappe della lunga storia del gelato si devono prendere le mosse dall’antica Mesopotamia, dove tra il III e il II millennio a. C. sono state individuate le prime tracce di un uso alimentare della neve, per ghiacciare cibi e bevande (frutta, vino, latte fermentato, ecc.). In quella parte di mondo la neve era una sostanza molto preziosa, dal momento che doveva essere importata da montagne distanti centinaia di chilometri; per la sua conservazione era necessario avere a disposizione delle “case del ghiaccio”, ciò che ovviamente rientrava nelle possibilità di pochi, appartenenti alle classi dominanti (Polliotti 1999: 21-23).

Nell’antica Roma si beveva l’idromele, una bevanda a base di acqua e di miele («Plinio racconta che l’idromele era assai più apprezzato quando era servito freddo, anzi gelato», ibid., p. 28), ma altre bevande, e dolci, miscele di frutta, ecc., venivano congelate mediante la neve: anche in questo caso il rifornimento avveniva a chilometri di distanza, alle pendici del Terminillo, del Vesuvio o addirittura dell’Etna. Molte ville patrizie erano dotate di depositi sotterranei in cui la neve era immagazzinata e, grazie a una serie di accorgimenti (tra cui la sua “sigillatura” con la paglia), conservata relativamente a lungo.

Le bevande gelate apprezzate nell’antichità, a diverse latitudini (ai popoli già citati, si possono aggiungere almeno gli Egizi e i Cinesi: Pocchiesa e altri 1999: 22, 24-25), possono essere considerate i progenitori del moderno sorbetto, più che del gelato in senso stretto. Un passo avanti verso il sorbetto più vicino a quello che gustiamo oggi venne compiuto dagli Arabi, quando iniziarono – probabilmente nei primi secoli dopo la caduta dell’Impero Romano – ad aggiungere alle bevande ghiacciate lo zucchero (di canna). Non stupisce allora che la parola sorbetto non sia di tradizione latina ma derivi dal turco šerbet ‘bevanda fresca’, a sua volta dall’ar. šarab ‘bevanda’ (accostato per etimologia popolare a sorbire [DELI, s.v. sorbetto];la differenza tra il sorbetto e il gelato sta proprio qui: il primo si sorbisce, il secondo si mangia). Quando gli Arabi conquistarono la Sicilia trovarono la sede ideale per la preparazione di sorbetti e dolci ghiacciati: l’Etna, come al tempo dei Romani, forniva neve per gran parte dell’anno.

L’evoluzione del gelato dal Rinascimento ai giorni nostri

Lo straordinario periodo di rinnovamento culturale che prese avvio in Europa con il Rinascimento giunse a toccare anche gli aspetti meno “spirituali” della vita quotidiana, come quelli legati ai piaceri della buona tavola. Non è un caso se a Venezia, la capitale dell’editoria cinquecentesca, i tipografi trovassero nei ricettari un sicuro investimento (l’Epulario di Giovanni Rosselli, pubblicato per la prima volta nel 1517, è uno dei più venduti del secolo).

Si racconta che a Firenze, in un anno imprecisato nei primi decenni del Cinquecento, durante una sorta di gara gastronomica indetta dai Medici, avesse fatto furore un dolce gelato preparato da un pollivendolo convertitosi in cuoco, un certo Ruggeri, di cui non si sa altro se non che tale fu il successo avuto che Caterina de’ Medici decise di portarlo con sé in occasione del suo trasferimento in Francia, quando nel 1533 convolò a nozze con Enrico d’Orléans (Polliotti 1999:39-41). La preparazione di Ruggeri, su cui purtroppo non abbiamo altre notizie se non che si trattava di “ghiaccio all’acqua inzuccherata e profumata”, rientrava però ancora nella categoria del sorbetto: il salto da questo a qualcosa di più simile al gelato come lo intendiamo oggi pare sia invece avvenuto sotto Cosimo I per opera di Bernardo Buontalenti (1531-1608). Al poliedrico artista fiorentino era stato assegnato l’incarico di organizzare un sontuoso banchetto in onore di un’ambasceria spagnola in visita a Firenze e Buontalenti, nell’intento di prendere per la gola i convitati,

[s]perimentò una nuova miscela da gelare, a base di latte, miele, tuorlo d’uovo e un tocco di vino, e presentò dolci ghiacciati che superavano, come gusto e come composizione, quelli del passato»

(ibid., p. 42);

fu una rivoluzione:

da quel momento tutto si poteva gelare, anche le materie grasse

come il latte e le uova»

(ibid.).

Con l’arrivo del cacao dal Nuovo Mondo, le ricette di gelateria avevano accolto il nuovo, gustosissimo ingrediente. Il gastronomo Antonio Latini (1642-1696), nel suo Scalco alla moderna, proponeva una cioccolata scomiglia (‘schiumata’), da servire rigorosamente ghiacciata:

A fare Cioccolata, detta scomiglia, per dieci Giarre le darai di Dosa due libre di Cioccolata, due libre di Zuccaro, dodici libre di Neve, e trè libre di Sale; si dovrà rimenar bene, e farle fare la schiuma servendola quando sarà agghiacciata

(Latini 1694: 170).

Qualche anno prima, nel 1686, Francesco Procopio de’ Coltelli, un siciliano trasferitosi in Francia, aveva aperto a Parigi il caffè Le Procope, destinato a diventare uno dei più rinomati della capitale francese. Fra le altre ghiottonerie proponeva alla clientela sorbetti e gelati: raffinatezze che, per secoli, erano state prerogativa delle mense reali e nobiliari (ce lo ricorda anche un passo del romanzo di Calvino Il barone rampante, là dove si dice che «mangia gelati voleva dire abitante delle ville, o nobile, o comunque persona altolocata»); a Procopio va quindi riconosciuto il merito di aver fatto uscire il gelato dalla corte (Polliotti 1999: 49), di averlo in un certo senso “democratizzato”. Sull’esempio del caffè Le Procope, nel Settecento e nella prima metà dell’Ottocento, il gelato sarà servito in tutti i più importanti caffè d’Europa.

La parola gelato cominciò a essere usata in funzione di sostantivo nel corso del Settecento (ne abbiamo una delle prime attestazioni nella commedia Il divorzio di Vittori Alfieri, scritta nei primi anni del XIX secolo: GDLI, s. v.), e il secolo seguente il gelato sarebbe sbarcato oltreoceano. Negli Stati Uniti, a St. Louis, nasceva nel 1868 la prima fabbrica di gelato. Agli stessi anni parrebbe rimontare l’inizio della vendita del gelato in coni (anche se il cono sarà presentato ufficialmente nel 1904, in occasione dell’Esposizione Universale, ancora a St. Louis; Polliotti 1999: 143). Per le strade cominciarono quindi a circolare i primi carrettini del gelato e, parallelamente, si affiancarono ai caffè e alle “case del cioccolato”, in cui già si poteva assaporare il gelato, le prime gelaterie.

L’avvento dell’ice cream, il gelato confezionato prodotto in serie, avrebbe determinato la progressiva scomparsa dei gelatieri ambulanti. In Italia sono rimasti impressi nella memoria di chi ha vissuto gli anni Cinquanta i “mottarelli”, i primi ice creams italiani a base di fiordilatte e ricoperti di cioccolato, prodotti dall’azienda Motta a partire dal 1951. Altri grandi marchi che in Italia hanno legato indissolubilmente il proprio nome all’universo del gelato sono naturalmente Algida (che è il nome con cui la multinazionale anglo-olandese Unilever si presenta nel nostro paese), Ranieri, Antica Gelateria del Corso. Ma l’Italia, più che per questi grandi marchi, che offrono comunque prodotti di ottima qualità, è rinomata nel mondo soprattutto per l’eccellenza del suo gelato artigianale. I milioni di turisti che si recano ogni anno nel nostro paese sono attratti dalle sue meraviglie naturali o artistico-culturali non meno che dalle sue prelibatezze gastronomiche.

Fra queste, “dulcis in fundo”, il gelato.

Alessandro Aresti in “Peccati di lingua – Le 100 parole italiane del gusto” a cura di Massimo Arcangeli (Rubbettino, pp. 138-141).

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